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Materiali in anteprima dalla pubblicazione di Daniele Trevisani "Psicologia delle Performance", 2008, volume in fase di pubblicazione. © Copyright Le zone di lavoro per lo sviluppo del potenziale umano e delle performancePossiamo parlare, per la maggior parte delle persone viventi, di un potenziale compresso. Il potenziale non è tuttavia un concetto generico ma si compone di diversi strati o “celle”, che ne racchiudono una porzione. Localizzare queste celle è uno dei compiti primari di questo lavoro. Nel sistema HPM (Human Performance/Potential Model), qui sviluppato, sono identificate le seguenti aree: Figura 16 – Esposizione preliminare del modello HPM
Osserviamone alcuni contenuti in via preliminare: 1) La cella bioenergetica, o delle energie fisiche, corporee. Questa area permette di focalizzare il lato del potenziale personale che si connette alle potenzialità fisiche, forza, resistenza, benessere fisico, potere del corpo di compiere azione e performare. Consente di avviare il lavoro sulle energie fisiche e potenziamento del corpo: es: tecniche di allenamento corporeo, tecniche alimentari, tecniche legate allo stile di vita. 2) La cella delle “energie mentali” o psicologiche. Permette di avviare un lavoro sul potenziale insito nelle energie mentali; es: training mentale, coaching analitico, analisi in profondità dei ruoli personali e professionali; analisi delle reti di relazioni, della dispersione o ricarica di energie relazionali. 1) La cella delle “competenze macro”, che riguarda il tipo di “copertura” o collimazione (coverage) tra le diverse skills che una performance richiede, e il portfolio di competenze individuali. Comprende quindi l’analisi dell’ampiezza della gamma di saperi e saper fare, l’estensione e vastità del piano di competenze, l’approccio enciclopedico e non solo iperspecialistico che permette di cogliere i diversi piani di una performance (es: storico, politico, morale, culturale, scientifico, sociale, strategico) e non esserne puramente esecutore meccanico. Comprende quindi un lavoro formativo sulle macro-competenze: es: l’adeguamento del proprio profilo di competenze in rapporto ai ruoli che si intendono giocare, la formazione, il coaching professionale, le azioni di allargamento del repertorio personale; tanto più ampia è la copertura, tanto maggiori sono i margini di sicurezza e di manovra che la persona potrà affrontare, al variare delle condizioni esterne o al verificarsi di imprevisti. 4) La cella delle micro-competenze, che qualifica il grado di profondità e progressione nell’acquisizione di una specifica competenza, dal livello di principiante al livello di mastery (completa e totale padronanza). Il lavoro sulle micro-competenze permette di evidenziare e avviare la ricerca di elementi minimali e particolari significativi, l’analisi al “microscopio comportamentale” degli dettagli che danno luogo alle performance. Mentre l’analisi delle macro-competenze ci parla di una “estensione” o ampiezza di competenze, le micro-competenze ci parlano della “profondità” con cui una certa abilità entra nel nostro repertorio sino a diventarne addirittura parte inconscia. 5) La cella della “concretizzazione”, la progettualità, la pianificazione di obiettivi concretizzabili ed eseguibili, il lavoro sulla progettualità e goals, es: saper sviluppare un progetto, capire che risorse servono, come organizzarle, saper gestire il tempo in relazione ai propri progetti; riconoscere le dispersioni di energie in tempi inutili o controproducenti. 6) La cella del “motore morale”, dello scopo, o causa, della missione, dei valori più forti che spingono e muovono una performance. Comprende il lavoro di scavo e rafforzamento sui valori, visioni, ideali; è l’area più difficile, che comprende lo spessore morale, il “muoversi verso” qualcosa di superiore alla propria esistenza limitata, il voler contribuire a qualcosa, es: trovare o riscoprire motivi di esistere non unicamente materialistici, trovare un senso per l’esistenza, scoprire e riscoprire i propri valori ancestrali, capire quali sono gli ideali da perseguire e da collegare a specifici progetti. Non ci interessano le ovvie limitazioni biologiche e mentali dell’essere macchine biologiche imperfette, non ci interessa la perfezione, l’automazione non è il nostro fine. Ci interessa ciò che possiamo essere in relazione a come siamo fatti (essere umani imperfetti, ma con grande spazio di crescita), ci interessa ciò che possiamo esprimere se e quando spezziamo le catene, liberi dai condizionamenti negativi. Ci interessa il raggiungimento del potenziale nascosto o limitato dai fattori ambientali e personali che lo comprimono. Ciascuna di queste celle è suscettibile di grandi miglioramenti, in ognuno di noi. Il nostro approccio si prefigge quindi l’adeguamento superiore, il fatto che una persona si possa adeguare al suo massimo e non accontentarsi del suo minimo. Non è un atteggiamento né di arroganza né di presunzione, non è immodesto. Si tratta invece di rimuovere l’incrostazione culturale che impedisce alle persone di realizzarsi o almeno di tentarlo, di gustarsi un viaggio verso ideali alti o nobili, anziché accettare la miseria mentale, l’egoismo, la superficialità, la materialità, o una vita vuota. La fase delicata del metodo consiste inoltre nel fare convergenza tra i diversi piani di lavoro, attraverso azioni sinergiche, correlate, e interdisciplinari. Sarà compito dei prossimi capitoli esaminare più in dettaglio ciascun punto.
Altre schede di Psicologia della Performance:
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